KIERKEGAARD (1813 - 1855)
GLI
STADI DELL’ESISTENZA (“Aut-Aut“, 1843):
Vita
estetica e vita morale/etica sono separate da una sorta di abisso/salto. Ogni
stadio forma una vita a sé e si presenta nell’uomo come un’alternativa che ne
esclude l’altra.
1) VITA
ESTETICA (immediatezza):
forma di vita di chi esiste nell’attimo,
fuggevolissimo e irripetibile. Ricerca da parte dell’esteta di ciò che di più
interessante può esistere, riportando le diverse situazioni della vita concreta
come se fossero frutto dell’immaginazione, costruendo un mondo luminoso privo
di tutto ciò che è banale, insignificante e meschino e vivendo in uno stato di permanente ebbrezza intellettuale. Non esiste ripetizione, monotonia.
La vita estetica è concretamente
rappresentata da Kierkegaard nella figura
di Don Giovanni, il protagonista del Diario di un seduttore, che sa porre
il suo godimento non nella ricerca sfrenata e indiscriminata del piacere, ma
nella limitazione e nell’intensità dell’appagamento.- Novità + avventura +
non-scelta è dispersione + noia + disperazione.
- Ricerca costante del piacere in maniera sempre
più intensa e appagante.
MA tutto ciò conduce inevitabilmente l’esteta
alla noia e alla disperazione, sintomi dell’ansia per una vita costantemente
diversa, per la possibilità di un’alternativa esistenziale differente.
è Abbandonandosi
alla disperazione si può passare
all’altra alternativa di vita, la vita etica/morale.
2) VITA
ETICA (scelta della scelta): implica stabilità e continuità; è il
dominio nella riaffermazione di sé, del dovere, della fedeltà a se stessi à
il dominio della libertà nella quale l’uomo si forma e si afferma da sé. L’uomo
singolo si sottopone a una forma, si adegua all’universale e rinuncia a essere
l’eccezione.
- Come la vita estetica è incarnata dal
seduttore, la vita etica è incarnata dal marito. Con il matrimonio
ogni coppia può raggiungere la felicità, diversamente dall’amore estetico
secondo cui ogni coppia di persone eccezionali è felice in forza
dell’eccezionalità del loro legame e della loro personalità.
- La persona etica vive del suo lavoro.
Il suo lavoro è anche la sua vocazione, perciò essa lavora con piacere:
il lavoro la mette in relazione con altre persone, e adempiendo il suo compito
essa adempie a tutto ciò che può desiderare al mondo.
à Per la sua scelta, l'uomo non può rinunciare a nulla della sua storia,
neanche agli aspetti di essa più dolorosi e crudeli; e nel riconoscersi in
questi aspetti, egli si pente. Il pentimento come ultima parola della vita etica e
sopraggiunge perciò la necessità di passare alla religione.
3) VITA
RELIGIOSA (rapporto assoluto con l’Assoluto), non c’è continuità tra la
vita etica e quella religiosa. Tra esse c’è anzi un abisso, Kierkegaard
chiarisce questa opposizione in Timore e tremore, raffigurando la vita
religiosa
nella persona di Abramo che riceve da Dio
l’ordine di uccidere suo figlio Isacco, infrangendo le regole per la quale è
vissuto à l’affermazione del principio religioso sospende
interamente l’azione del principio morale. Non c’è né conciliazione né
sintesi.
L’uomo religioso sceglie di seguire
interamente le leggi religiose anche a discapito del suo isolamento dal resto
del genere umano, sceglie quindi la:
- Fede = rapporto privato tra uomo e
Dio, ovvero un rapporto assoluto con l’Assoluto.
- Dominio della solitudine.
- Caratteristica: questa vita è
incerta e rischiosa, poiché non sa con certezza se egli è “l’eletto” di
Dio. L’unico segno è dato dalla forte
angoscia per l’incertezza di questo compito à fede come certezza
angosciosa à la fede è paradosso e scandalo il cui
simbolo è Cristo (soffre e muore come uomo, ma parla e agisce come Dio; colui
che si riconosce come Dio mentre muore da uomo).
Credere o non credere? Da un lato è l’uomo
che può scegliere, ma dall’altro è Dio stesso a imporre la fede all’uomo à
CONTRADDIZIONE INESPLICABILE: ma questa contraddizione è quella stessa
dell’esistenza umana. Kierkegaard vede perciò rivelata dal cristianesimo la
sostanza stessa dell’esistenza. Paradosso, scandalo, necessità più
impossibilità di decidere, dubbio e angoscia: sono le caratteristiche
dell’esistenza e sono nello stesso tempo i fattori essenziali del
cristianesimo.
è La
religione cristiana rivela la sostanza della vita umana, ma K. ha una diversa
concezione del cristianesimo rispetto alla dottrina ufficiale à
infatti si accorse (negli ultimi anni della vita) esser assai lontano da quello
delle religioni ufficiali.
ANGOSCIA:
- L’angoscia è la condizione generata
nell’uomo dal possibile che lo costituisce.
Essa è strettamente connessa con il peccato ed è a fondamento dello stesso
peccato originale.
L’innocenza di Adamo è ignoranza, questo
elemento non è che un niente; ma proprio questo niente genera l’angoscia, l’angoscia
non si riferisce a nulla di preciso, essa è il puro sentimento della
possibilità.
Studia i motivi per cui si generano i
contrasti à l’esistenza come possibilità.
Ne “Il concetto dell’angoscia” (uomo in
relazione al mondo) e ne “La malattia mortale” (uomo in relazione con se
stesso) K. analizza la situazione di radicale incertezza, instabilità e dubbio,
in cui l’uomo si
trova costituzionalmente per la natura problematica del modo d’essere che gli è
proprio. Nell’ignoranza di ciò che può, Adamo possiede il suo potere nella
forma della pura possibilità; e l’esperienza vissuta di questa possibilità è
l’angoscia. L’angoscia è libertà finita,
cioè limitata, e così si identifica con il sentimento della possibilità.
Il
passato può
angosciare solo in quanto si ripresenta come futuro, cioè come una possibilità di ripetizione. Così
una colpa passata genera angoscia solo se non è veramente passata, giacché se
fosse tale potrebbe generare pentimento, non angoscia. L’angoscia è legata a ciò
che non è ma può essere, al nulla che è possibile o alla possibilità
nullificante. Essa è legata strettamente alla condizione umana. Se l’uomo fosse angelo o bestia, non conoscerebbe
l’angoscia.
Kierkegaard collega l’angoscia strettamente
con il principio dell’infinità o dell’onnipotenza del possibile, principio che
egli esprime più spesso dicendo: «Nel
possibile, tutto è possibile». Per questo principio, ogni possibilità
favorevole all’uomo è annientata dall’infinito numero delle possibilità
sfavorevoli.
DISPERAZIONE:
Se l’angoscia è la condizione in cui l’uomo è
posto dal possibile che si riferisce al mondo, la disperazione è la condizione in cui l’uomo è posto dal possibile che
si riferisce alla sua stessa interiorità, al suo io. Essa è tematizzata in
particolare nell’opera “La malattia mortale”, 1849.
Essa è malattia
mortale, non perché conduca alla morte dell’io, ma perché è il vivere la morte dell’io: è “un eterno morire senza tuttavia morire”,
è “un’autodistruzione impotente”. Essa è il tentativo impossibile di negare la
possibilità dell’io o rendendolo autosufficiente o distruggendolo nella sua
natura concreta.
Le due
forme di disperazione
si richiamano a vicenda e si identificano: disperare di sé nel senso di volersi
disfare
di sé significa voler essere l’io che non si è veramente; voler
essere se stesso ad ogni costo significa ancora voler essere l’io che
non si è veramente, un io autosufficiente e compiuto. Nell’uno e nell’altro
caso la
disperazione è l’impossibilità del tentativo.
La scaturigine della disperazione sta nel non volersi
accettare dalle mani di Dio; ma negando Dio, si annienta se stessi; e
separarsi da Dio equivale ad allontanarsi da «quell’unico pozzo da cui si può attingere
acqua». Pertanto, se la radice della disperazione è questa, è chiaro che l’esistenza autentica è quella di colui che
non crede più a se stesso ma solo a Dio.
FEDE:
La fede
è l’antidoto
contro la disperazione, in quanto ne è la eliminazione: essa è la condizione in
cui l’uomo, pur orientandosi verso se stesso e volendo esser se stesso, non si
illude sulla sua autosufficienza, ma riconosce
la sua dipendenza da Dio. La fede sostituisce alla disperazione la speranza in Dio. La fede sostituisce alla disperazione la speranza e la fiducia in Dio.
Ma porta pure l’uomo al di là della ragione e di ogni possibilità di
comprensione: essa è assurdità, paradosso e scandalo.
Impensabile è il peccato nella sua natura
concreta, come esistenza dell’individuo che pecca. Impensabile è l’idea di un
Dio che si fa carne e muore per noi. La fede crede nonostante tutto, e assume
tutti i rischi. La fede è, per Kierkegaard, il capovolgimento paradossale
dell’esistenza; di fronte all’instabilità radicale dell’esistenza costituita
dal possibile, la fede si appella alla stabilità del principio di ogni
possibilità, a Dio, cui tutto è possibile.