martedì 21 maggio 2013

BERGSON




BERGSON
 

IL TEMPO



Al centro degli studi di Bergson vi è l’analisi del concetto di tempo, dalla



quale prenderà l’avvio l’intero progetto di rifondazione metafisica della filosofia e di critica del positivismo. Bergson si rende conto che il concetto di tempo, di cui fa uso la fisica, è profondamente differente da quello della coscienza dell’uomo:



§ Il tempo della scienza, è infatti un tempo spazializzato, una successione misurabile di istanti, costituita di intervalli uguali su di una ipotetica retta. Questo tempo è quindi di tipo meccanico e ha un grande valore perché è sul suo carattere di “misurabilità fatto di tanti istanti scollegati tra loro che si regge l’organizzazione della vita pratica e sociale (visto come utile e necessario, ad es. gli orologi). Ma questo non è l’unico tempo esistente. 



§ Il tempo della coscienza, è una suggestiva concezione del tempo come interiorità e durata, che è il fondamento di una visione del mondo spiritualista (si rifà a Sant’Agostino). A differenza del tempo della scienza, questo è un flusso continuo del passato nel presente, grazie alla memoria, e del presente nel futuro, attraverso i progetti: non ci sono istanti tra loro staccati. Vi è quindi una scomparsa di tutte le categorie di misurazione, e il tempo diventa soggettivo e completamente slegato da quello scientifico. Il tempo della coscienza perciò è:







1.    Tempo della durata: il tempo che dura, il passato che è presente (ricordi che ci influenzano nel presente)



2.    Tempo della vita cioè delle cose che hanno significato per me, che rappresentano la mia vita vissuta. È quindi un tempo interiore.



3.    Qualitativo: perché non è misurabile, ma è dipendente dai ricordi e sensazioni che vengono suscitate in me. 



4.    Flusso continuo: non soggetto ad essere segmentato in parti.



 



La coscienza supera perciò il determinismo fisico, aprendo la strada alla libertà psicologica: la libertà è l’elemento che appunto contraddistingue la persona umana, e non è possibile definirla, perché facendolo, la si schematizzerebbe limitandola  perciò in parametri. È un qualcosa di visibile solo nell’io, non è riproducibile all’esterno.







 LA MEMORIA



Strettamente collegata all’idea di tempo è il tema della memoria, grazie alla quale il nostro passato esiste. Attraverso il processo del ricordo, la vita dello spirito si trasforma in azione sul mondo, e viene distinto da Bergson in tre diverse modalità:







1.    Ricordo puro: è la memoria profonda, il deposito inconscio di tutte le esperienze passate. Ha carattere spirituale e costituisce il nostro passato, tutto intero, che ci accompagna in ogni momento, anche se non ce ne rendiamo conto, e che attualizza le esperienze passate mediante la seconda fase, cioè il ricordo-immagine. 



2.    Ricordo-Immagine: è l’atto con cui quel passato si materializza, facendosi in parte presente qui e ora. Tale materializzazione del ricordo puro è operata del cervello e, dunque, è un fatto fisiologico, appartiene al nostro corpo: non si escludono perciò possibili alterazioni a causa di malattie (colpiscono solo il ricordo-immagine). Il nostro passato non si perde mai: esso è virtualmente sempre disponibile, anche se in modo inconscio.




3.    Percezione: è la facoltà che ci lega al mondo esterno e ha la funzione di selezionare i dati che ci sono più utili ai fini delle nostre attività concrete. La percezione di un suono, odore o immagine di oggi può risvegliare in noi altri suoni, odori e immagini e con essi esperienze del passato riattualizzate mediante il ricordo-immagine.

KIERKEGAARD



KIERKEGAARD (1813 - 1855)


GLI STADI DELL’ESISTENZA (“Aut-Aut“, 1843):
Vita estetica e vita morale/etica sono separate da una sorta di abisso/salto. Ogni stadio forma una vita a sé e si presenta nell’uomo come un’alternativa che ne esclude l’altra.

1)  VITA ESTETICA (immediatezza): forma di vita di chi esiste nell’attimo, fuggevolissimo e irripetibile. Ricerca da parte dell’esteta di ciò che di più interessante può esistere, riportando le diverse situazioni della vita concreta come se fossero frutto dell’immaginazione, costruendo un mondo luminoso privo di tutto ciò che è banale, insignificante e meschino e vivendo in uno stato di permanente ebbrezza intellettuale.  Non esiste ripetizione, monotonia.
La vita estetica è concretamente rappresentata da Kierkegaard nella figura di Don Giovanni, il protagonista del Diario di un seduttore, che sa porre il suo godimento non nella ricerca sfrenata e indiscriminata del piacere, ma nella limitazione e nell’intensità dell’appagamento.- Novità + avventura + non-scelta è dispersione + noia + disperazione.
- Ricerca costante del piacere in maniera sempre più intensa e appagante.
MA tutto ciò conduce inevitabilmente l’esteta alla noia e alla disperazione, sintomi dell’ansia per una vita costantemente diversa, per la possibilità di un’alternativa esistenziale differente.
è Abbandonandosi alla disperazione si può passare all’altra alternativa di vita, la vita etica/morale.

2)  VITA ETICA (scelta della scelta): implica stabilità e continuità; è il dominio nella riaffermazione di sé, del dovere, della fedeltà a se stessi à il dominio della libertà nella quale l’uomo si forma e si afferma da sé. L’uomo singolo si sottopone a una forma, si adegua all’universale e rinuncia a essere l’eccezione.
- Come la vita estetica è incarnata dal seduttore, la vita etica è incarnata dal marito. Con il matrimonio ogni coppia può raggiungere la felicità, diversamente dall’amore estetico secondo cui ogni coppia di persone eccezionali è felice in forza dell’eccezionalità del loro legame e della loro personalità.
- La persona etica vive del suo lavoro. Il suo lavoro è anche la sua vocazione, perciò essa lavora con piacere: il lavoro la mette in relazione con altre persone, e adempiendo il suo compito essa adempie a tutto ciò che può desiderare al mondo.
à Per la sua scelta, l'uomo non può rinunciare a nulla della sua storia, neanche agli aspetti di essa più dolorosi e crudeli; e nel riconoscersi in questi aspetti, egli si pente. Il pentimento come ultima parola della vita etica e sopraggiunge perciò la necessità di passare alla religione.


3)  VITA RELIGIOSA (rapporto assoluto con l’Assoluto), non c’è continuità tra la vita etica e quella religiosa. Tra esse c’è anzi un abisso, Kierkegaard chiarisce questa opposizione in Timore e tremore, raffigurando la vita religiosa
nella persona di Abramo che riceve da Dio l’ordine di uccidere suo figlio Isacco, infrangendo le regole per la quale è vissuto à l’affermazione del principio religioso sospende interamente l’azione del principio morale. Non c’è conciliazione sintesi.
L’uomo religioso sceglie di seguire interamente le leggi religiose anche a discapito del suo isolamento dal resto del genere umano, sceglie quindi la:
- Fede = rapporto privato tra uomo e Dio, ovvero un rapporto assoluto con l’Assoluto.
- Dominio della solitudine.
- Caratteristica: questa vita è incerta e rischiosa, poiché non sa con certezza se egli è “l’eletto” di Dio.  L’unico segno è dato dalla forte angoscia per l’incertezza di questo compito à fede come certezza angosciosa à la fede è paradosso e scandalo il cui simbolo è Cristo (soffre e muore come uomo, ma parla e agisce come Dio; colui che si riconosce come Dio mentre muore da uomo).
Credere o non credere? Da un lato è l’uomo che può scegliere, ma dall’altro è Dio stesso a imporre la fede all’uomo à CONTRADDIZIONE INESPLICABILE: ma questa contraddizione è quella stessa dell’esistenza umana. Kierkegaard vede perciò rivelata dal cristianesimo la sostanza stessa dell’esistenza. Paradosso, scandalo, necessità più impossibilità di decidere, dubbio e angoscia: sono le caratteristiche dell’esistenza e sono nello stesso tempo i fattori essenziali del cristianesimo.
è La religione cristiana rivela la sostanza della vita umana, ma K. ha una diversa concezione del cristianesimo rispetto alla dottrina ufficiale à infatti si accorse (negli ultimi anni della vita) esser assai lontano da quello delle religioni ufficiali.

ANGOSCIA:
- L’angoscia è la condizione generata nell’uomo dal possibile che lo  costituisce. Essa è strettamente connessa con il peccato ed è a fondamento dello stesso peccato originale.
L’innocenza di Adamo è ignoranza, questo elemento non è che un niente; ma proprio questo niente genera l’angoscia, l’angoscia non si riferisce a nulla di preciso, essa è il puro sentimento della possibilità.
Studia i motivi per cui si generano i contrasti à l’esistenza come possibilità.
Ne “Il concetto dell’angoscia” (uomo in relazione al mondo) e ne “La malattia mortale” (uomo in relazione con se stesso) K. analizza la situazione di radicale incertezza, instabilità e dubbio, in cui l’uomo si trova costituzionalmente per la natura problematica del modo d’essere che gli è proprio. Nell’ignoranza di ciò che può, Adamo possiede il suo potere nella forma della pura possibilità; e l’esperienza vissuta di questa possibilità è l’angoscia. L’angoscia è libertà finita, cioè limitata, e così si identifica con il sentimento della possibilità.
Il passato può angosciare solo in quanto si ripresenta come futuro, cioè come una possibilità di ripetizione. Così una colpa passata genera angoscia solo se non è veramente passata, giacché se fosse tale potrebbe generare pentimento, non angoscia. L’angoscia è legata a ciò che non è ma può essere, al nulla che è possibile o alla possibilità nullificante. Essa è legata strettamente alla condizione umana. Se l’uomo fosse angelo o bestia, non conoscerebbe l’angoscia.
Kierkegaard collega l’angoscia strettamente con il principio dell’infinità o dell’onnipotenza del possibile, principio che egli esprime più spesso dicendo: «Nel possibile, tutto è possibile». Per questo principio, ogni possibilità favorevole all’uomo è annientata dall’infinito numero delle possibilità sfavorevoli.

DISPERAZIONE:
Se l’angoscia è la condizione in cui l’uomo è posto dal possibile che si riferisce al mondo, la disperazione è la condizione in cui l’uomo è posto dal possibile che si riferisce alla sua stessa interiorità, al suo io. Essa è tematizzata in particolare nell’opera “La malattia mortale”, 1849.
Essa è malattia mortale, non perché conduca alla morte dell’io, ma perché è il vivere la morte dell’io: è “un eterno morire senza tuttavia morire”, è “un’autodistruzione impotente”. Essa è il tentativo impossibile di negare la possibilità dell’io o rendendolo autosufficiente o distruggendolo nella sua natura concreta.
Le due forme di disperazione si richiamano a vicenda e si identificano: disperare di sé nel senso di volersi disfare di sé significa voler essere l’io che non si è veramente; voler essere se stesso ad ogni costo significa ancora voler essere l’io che non si è veramente, un io autosufficiente e compiuto. Nell’uno e nell’altro caso la disperazione è l’impossibilità del tentativo.
La scaturigine della disperazione sta nel non volersi accettare dalle mani di Dio; ma negando Dio, si annienta se stessi; e separarsi da Dio equivale ad allontanarsi da «quell’unico pozzo da cui si può attingere acqua». Pertanto, se la radice della disperazione è questa, è chiaro che l’esistenza autentica è quella di colui che non crede più a se stesso ma solo a Dio.

FEDE:
La fede è l’antidoto contro la disperazione, in quanto ne è la eliminazione: essa è la condizione in cui l’uomo, pur orientandosi verso se stesso e volendo esser se stesso, non si illude sulla sua autosufficienza, ma riconosce la sua dipendenza da Dio. La fede sostituisce alla disperazione la speranza in Dio. La fede sostituisce alla disperazione la speranza e la fiducia in Dio. Ma porta pure l’uomo al di là della ragione e di ogni possibilità di comprensione: essa è assurdità, paradosso e scandalo.
Impensabile è il peccato nella sua natura concreta, come esistenza dell’individuo che pecca. Impensabile è l’idea di un Dio che si fa carne e muore per noi. La fede crede nonostante tutto, e assume tutti i rischi. La fede è, per Kierkegaard, il capovolgimento paradossale dell’esistenza; di fronte all’instabilità radicale dell’esistenza costituita dal possibile, la fede si appella alla stabilità del principio di ogni possibilità, a Dio, cui tutto è possibile.